Il quadro della situazione

L’hanno scritto ormai in molti: la grave situazione che si è venuta a creare, e che ha messo alla prova gran parte della popolazione mondiale, ha evidenziato la fragilità del nostro sistema economico e sociale, che si è dimostrato estremamente vulnerabile e incapace di governare adeguatamente questa crisi mondiale.

I cambiamenti climatici sempre più drastici hanno accelerato questo processo: la distruzione incessante di habitat naturali, a vantaggio di attività antropiche, ha comportato la compressione delle specie selvatiche in spazi sempre più ristretti e una maggiore facilità di contatto con animali domestici e con gli esseri umani, favorendo il salto di specie dei loro patogeni. L’inquinamento e la globalizzazione hanno contribuito alla veloce diffusione proprio di questi agenti patogeni, con le conseguenze che abbiamo vissuto.

L’ipotesi Gaia

L’uomo ha alterato degli equilibri, lo sta facendo da troppo tempo. E il nostro pianeta, la nostra casa, non può fare a meno di reagire, lo farebbe chiunque. Negli anni 80 si parlava dell’ipotesi Gaia, riferita alla Terra come pianeta vivente, composto dalla crosta terrestre, dai mari e dagli oceani e da tutti gli esseri viventi. Un organismo  vivente che ha bisogno, come tutti, di ricercare continuamente quell’equilibrio che proprio le attività umane mettono sempre più alla prova.

È chiaro che l’uomo non può continuare a distruggere la propria casa senza subirne le conseguenze: sarebbe come togliere dei pilastri portanti per fare più spazio, sperando che il tetto regga all’infinito. Purtroppo non reggerà, se andiamo avanti così, anzi crollerà velocemente.

Consapevolezza

Questa pausa forzata, imposta dalla quarantena, ci ha permesso di stare più a contatto con noi stessi e con i nostri familiari e ha comportato un drastico ridimensionamento di tutto quello che prima consideravamo “normale” e necessario: consumi, spostamenti, obiettivi. Abbiamo dovuto ridurre tutto all’essenziale, ai bisogni primari, alla sussistenza quotidiana. E ci siamo resi conto che è stato possibile sopravvivere, anzi forse anche vivere, anzi forse anche vivere meglio di prima, se non considerassimo la limitazione nella libertà personale e nelle relazioni con gli altri.

Soprattutto, ci siamo riappropriati del nostro tempo. Forse questo è l’aspetto più importante. Ci siamo resi conto che il tempo non impiegato ad arrabbiarci quotidianamente nel traffico può essere destinato a qualsiasi altra cosa: dal giardinaggio al bricolage, dal giocare con i nostri figli al dedicarci maggiormente, e con speciale attenzione, a coltivare i nostri affetti o i nostri interessi.

Per arrivare all’isola ci sono poco più di trecento miglia, circa tre giorni di navigazione, se il vento rimane stabile. Il tempo, però, comincia ad assumere un ruolo sempre meno importante, rallenta, si dilata. Entrano in gioco altri riferimenti: l’orizzonte, il cielo, il sole, le stelle. Osservo il mare e le vele gonfie, quasi senza formulare pensieri, e riempio i polmoni di aria pura, ascoltando il suono del vento e dell’acqua che scivola lungo la carena. In questo momento non mi serve altro.” (Luca)

Un nuovo paradigma

È opportuno, quindi, domandarsi se non sia il momento di trovare un nuovo paradigma, un modello di decrescita che ci permetta di vivere meglio e più felici.

I livelli sui quali agire sono essenzialmente due: quello personale e quello globale.

Sono varie le azioni che ognuno può intraprendere, molti lo stanno facendo o ci stanno pensando.

Si parla di creare reti energetiche autogestite, derivanti da risorse rinnovabili, che possano garantire l’autosufficienza energetica e un rapido abbandono dei combustibili fossili.

Il ricorso forzato e massiccio allo smart working ha indicato una strada da seguire anche nell’immediato futuro. I vantaggi sono innegabili: riduzione degli spostamenti, dei consumi, dell’inquinamento atmosferico, la riappropriazione di una considerevole quantità di tempo che può essere utilizzata per il benessere personale, la riduzione degli incidenti stradali e, di conseguenza, un minor impatto sulla sanità pubblica, un minor ricorso alla cassa di assistenza sanitaria, una riduzione dei costi personali e delle aziende, e molti altri ancora.

Si parla di un ritorno alla terra, della gioia di piantare un seme, di far crescere una pianta e cibarsi dei suoi frutti. E di prediligere la produzione locale, sana e a chilometro zero che, ancora una volta, riduce spostamenti, inquinamento, costi e aumenta benessere e salute delle persone.

Si parla di favorire gli scambi, l’empatia, la reciproca assistenza, il valore della comunità a dispetto dei miti del successo, del denaro, dell’individualità e della prevaricazione che ci hanno condizionato fino ad ora.

Si parla di eliminare quella miriade di attività inutili che creano prodotti inutili e dannosi, a cominciare dall’industria delle armi. Il superamento immediato del ricorso a conflitti e guerre produrrebbe vantaggi incalcolabili, sotto ogni punto di vista: umano, sociale, ambientale, economico, etico.

Il superamento del PIL

Ma la grande scommessa, quella su cui si gioca il futuro dell’umanità e di questo nostro bistrattato pianeta, è a livello globale. 

“Non ci rendiamo conto che l’unico dovere lo abbiamo verso noi stessi, ed è quello di essere felici, e invece continuiamo a misurare il PIL, il prodotto interno lordo. Lo sai che in Bhutan misurano il FIL? È un indicatore della felicità interna lorda, cioè questi bhutanesi misurano la felicità delle persone, non la produzione o i consumi. Non è sorprendente?” (Francesco)

È necessario un nuovo concetto di economia, che porti all’immediato superamento della globalizzazione e del consumismo e che metta al centro l’essere umano, il benessere e la felicità di ciascuno, la prosperità condivisa, l’annullamento delle disparità economiche e sociali. Un’economia che scoraggi fortemente l’accumulo di capitali, e ne incoraggi invece la distribuzione. Anzi, forse ci sarebbe da mettere in discussione il concetto stesso di denaro, che crea comunque disparità.

È tempo che menti illuminate concepiscano una nuova idea di convivenza, e un modo nuovo, o forse antico, di rapportarci con l’ambiente in cui viviamo, dettato dal rispetto per tutti gli esseri viventi e per l’ambiente che ci ospita. Uno stile di vita rallentato, consapevole, sobrio, che aumenti la nostra capacità di resilienza.

Non c’è nulla di nuovo, è tutto possibile perché ognuno di noi lo ha potuto sperimentare personalmente, in questo periodo di lockdown.

E allora, forse si tratta solo di avere un po’ di coraggio, di perdere tutti qualcosa (apparentemente) per avere un ritorno enorme in termini di benessere e felicità personali.